VIII. Il Viaggio - Cécile, Anis (estratto)

Madrid. Anis, D., Cécile sostano sotto i soffitti del Prado, tra le sale rivolte a sud, dove si alternano le copie delle pitture goyane.

Anis osserva D.: lieve, mai altera. Lei può osservare con limpidezza ciò che D. incontrò tra le vie italiane. 

Lietamente, sembrerebbe sfiorare la figura di D. con l'aria di chi sondi un animo carico di attese e mitezze: genuine fragilità di chi si spinse, esaurendosi, nella perlustrazione di regioni vietate alle ragioni "civili".

'Si spinse tra le finzioni,' pensa Cécile, 'dove si suggerì la tensione del tentare la propria saldezza interiore attraverso la prova più acuta: abiurare ciò che riguardò le proprie ragioni: spogliarsi di esse, scarnificarle, per provare a giungere a sé stessi al di là delle false illusioni e delle perpetue idealizzazioni.'

 Le cupezze delle pitture nere si allungano di parete in parete come ombre fluide, un filo di tremore si diffonde tra i passi di Anis, D., Cécile.

"Sai?", dice Cécile, "Appare fragile chi tenti vie estroverse da sé. Chi tenti gli antipodi del proprio centro, scoprendo tratti celati di sé, risulta invisibile e talvolta insostenibile a chi abbia cessato ogni esplorazione." Silenzio.

 Cécile, D., Anis vedono ora corollari di sagome contese tra professioni pubbliche e private, istituite idealmente ad elevazione dello spirito umano, ora cedute a struttura algida, nervosa, ipervigile, ora elevata a maschera espressa da coloro i quali si diedero ad esse per la mira del lustro sociale, per l'agio dubbio di una retribuzione mai dichiarata, per il perseguimento di un'accettazione, per affermazione di sé. 'O per  effetto di tare familiari' pensa Cécile.  

Muta il ronzio in rumore.

"Forse -" La voce di Cécile si perde.

"Forse -" Il rumore sale

"Forse -" Il rumore è frastuono.

"Andavano e sempre camminando cantavano"¹

 Boati.

***

Anis silenziosamente ti esplora. Le lontananze dei suoi occhi suggeriscono la tristezza per una bellezza sfiorita: l'ingannevole infatuazione, declinata sulla scia di una malattia, bussò alle tue porte, già aperte verso Anis che ti accolse, quando allora bruciavano le pareti e gragnuole di pezzi murari foravano le sale dei luoghi dove vi rifugiaste. Tanto distante andasti da ciò che amavi?

***

 Oltre l'ingresso: là, sotto la facciata del Prado, di fronte all'ingresso Velasquez, lastre di pietra rotolavano. Tutt'intorno crollavano occhi e spalle e corpi di genti spoglie tra le vie.

Madrid era allora popolata di uomini e donne che correvano senza più abiti. Spogli, gridando come strappandosi la gola dal corpo, roteavano le braccia, cozzavano i corpi tra loro senza mai proferire una parola, una sola parola che sciogliesse il nodo della loro furia muta e aspra: riflesso di ciò che causarono a sé stessi. Era uno smarrimento denso di senso di colpa per non essersi mai rispettati, capiti, scoperti; era il tratto di un'agonia esistenziale. 

"Il non detto corrompe la coscienza di chi lo agisce" dice Cécile, "e conduce ad una vita densa di rancore: questa si traduce presto, prestissimo in furia. Chi ne sia toccato tende a nascondersi, sottraendosi alla visione del mondo, e diviene isola dal carattere sterile e malfermo, specialmente verso sé stesso. Tale è il sintomo della sua coscienza perduta: scissione da ciò che questo pover uomo, che questa povera donna causò da sé a sé stessa." Cécile riprende fiato, prosegue: "Il detto privo di riflessione suscita invece tensione, alla quale espressione tuttavia si può porre rimedio apprendendo gli strumenti dell'esposizione, dell'individuazione, del dialogo." (Realmente hai detto "dialogo"?)

Così canta ora Cécile con l'aria di colei che, come Anis, svolga sé stessa con apertura verso l'altro, mentre genti precipitavano ancora nel fondo buio di buie botole spalancate tra le vie madrilene, dove antichi palazzi si crepavano: spranghe di metallo spuntavano dai loro muri, mura imponenti, infinite colonne e... Nulla. Erano imponenze ed infinità d'aria. Terminava così, in un vortice di polvere grigia e di bastoni metallici, l'era delle  parate, delle alterità, dei perenni clamori.

***

 Lei, Anis, prova tanta pietas quanta ne sai ricevere. D. ascolta con l'orecchio di chi oda sé stesso quale figura terza alle vicende correnti. Idem Anis e Cécile. Vi è lo specchio tra voi e vi è il diaframma verso il mondo esteriore. Vi è il vicendevole ballo dei poli tra il vostro rapporto. Crolla là fuori il mondo, qui dentro affiora il dedalo dove ci si aggira tra i riflessi di un Minotauro che ha il tuo volto. 

'I poli tra te ed il riflesso di ciò che si rese vivo senza che tu lo vedesti contano quattro volte diecimila (e uno) inversioni di senso: un'inversione in più dell'estensione ultima dell'ultima civitas descritta dall'allucinazione giovannesca.' pensa Cécile. Madrid arse. Tra gli spettri delle pitture nere di Goya - l'anima sciolta in pozzi bui - si scorse il profilo di ciò che ti disponesti a non attendere più. Nell'aria è la traccia riarsa della sala de la planta baja, la sagoma della Quinta del Sordo, la solitudine dei tratti bruciati...

...Cécile si accende, si fa di bragia. Punte di fuochi vivaci orbitano nei suoi occhi, intorno alle pupille - bianche pupille. Canta una nenia in sordina: rapida, suadente. La Spagna è una penisola di magma. Tra le sale del Prado diviene, la corsa, un passo di danza: Anis sorride, sorride del suo passo, lieve galleggia sulla fine di un regno; Cécile sorride tra le musiche che, sole, in un filo di note cavalcano gli strepitii di corpi esplosi - note che regolano le vostre chiare epifanie.

Rumoreggia così lo stridio di chi, già sciolto nell'esaltazione di sé, mai scorse il centro del proprio cadere. 'Eppure ciò sfugge, sfugge' pensa Cécile. Mai si vide l'aria intravista da Anis nel sondare ciò che vive in te. Forse il piacere, forse l'orrore, forse nulla di ciò che si può nominare. Il terrore. Si chiude Madrid, la Spagna. Il viaggio - il viaggio ora si svolge altrove.


¹Incipit de Il dottor Živago (1957) - Boris Pasternak

  

 ***

 Fine ottava parte


Immagine. Dettaglio de Due Vecchi (1820-23) - Francisco Goya. (Museo del Prado, stanza 067).

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