Cécile (sogno)


Una figura si rese visibile a Cécile: si rese presente nell'arco di una dimensione onirica. Fu un sogno.

La figura disse:

 Il viaggio è saper creare mondi.

 Il viaggio è saper nominare le cose secondo le parole del tuo vocabolario interiore.

 Il viaggio è saper generare stagioni, sorridendo della gioia di chi amiamo, dove, dimentichi di noi stessi, viviamo.

 Il viaggio è ad un passo dall'orlo della tua follia: la sana follia di chi scelse, ancora una volta, di fiorire alla luce di un sole che porta il tuo nome, senza mai un grido, senza mai un'assenza da quel che è vero per te: lì è il viaggio, al centro della tua esistenza, alla quale ti avvicini giorno per giorno, con la leggerezza di una piuma trascinata dai cieli del tuo vivere. Lì è il viaggio. 

 Cécile fissò la figura: era dura nel viso, un che di netto tagliava il suo volto. La costituzione era segnata da deturpazioni, ferite, sfoghi le cui tracce erano visibili sulla pelle di questa creatura che sembrava priva di armonia. Era carica di moti d'ansia, sembrava illibera, ed evocava un che di teso, la creatura: forse era scissa in sé stessa. Le parole udite nel sogno, il corollario di principi evocati, si emanavano non dalla sua bocca, per cui Cécile fissò con maggiore attenzione: le parole danzavano dietro alla silhouette della creatura.

Non fu essa a parlare. Le parole erano connaturate all'atmosfera del sogno, ma la creatura... Chi era?

Cécile percepì la traccia acuta, seppur sottile, di un Narciso ferito nell'estro di questa creatura che sa generare, quando non legata al dolore interiore, interi mondi fecondi. Essa in realtà era muta: si agitava, emetteva suoni gutturali, interiezioni, amava la tensione, l'esaltazione di sé stessa, la discordia à gogo, senza freni e odiava, odiava, odiava senza fine, perpetuamente in contesa con il proprio vicino e la propria vicina, senza mai intenderne la storia, il vissuto. 

Una vertigine colse Cécile. Un tremore si diffuse sotto la sua pelle, al centro del suo petto: era il segno di un'intuizione densa di cupezze. Ella decise che la creatura fosse da relegare tra le visioni appartenenti alla categoria del "terribile".

Le arie, i colori, le parole che galleggiavano oltre i tratti della figura, espressero l'illusione nata dalla creatura stessa: essa si mascherò tra di esse e tentò di penetrare tra le fibre profonde di Cécile, ma Cécile richiuse gli occhi. E sognò.

 Il suo viso, già volto verso gli orizzonti cangianti di altri sogni, accolse, con la lievità di chi si libera da un rovello, un dolce, leggero sorriso, mentre la creatura, ormai ceduta ad altre dimensioni, senza più l'aggancio che la faceva esistere, iniziò a divorare, a poco a poco, sé stessa.

 Ora vi è una scritta tra i cieli di Cécile, capannelli di anime cantano il monito della creatura segnata dai propri tratti privi di chiarezza, ammaliata dalle proprie esaltazioni: essa, la creatura, era divenuta ormai un che di inesistente, finita tra le spoglie delle proprie rotture.

Ora Cécile è libera.   














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