Cécile (bozza)


Casa è dove quel che mi anima non si fissa: danza al suono – al canto – che risveglia la vita, dentro e fuori di me: una vita di visi in sintonia, che risuonano d'amore. Lì è la mia casa.

 

 Queste parole furono scritte su un foglietto trovato all'interno di una casa di campagna. Vi abitava una donna sulla cinquantina, il cui corpo fu ritrovato a poca distanza dall'abitazione.

Questa donna, di nome Cécile, non godette dei privilegi cui godono molte persone in Italia. Da bambina venne maltrattata da una maestra delle scuole elementari. Da adolescente fu obbligata a lasciare il corso di studi superiori: non vi era nessuno che potesse mantenerla negli studi. In famiglia assistette a scene cui una bambina né una ragazza dovrebbe mai assistere. Lavorò esclusivamente tramite contratti a tempo determinato, dati dalle agenzie di somministrazione del lavoro. Lavorò per decine di aziende, numerosi furono i rinnovi contrattuali, ma mai venne assunta a tempo indeterminato. Venne impiegata come si impiega uno strumento il quale, svolta la sua 'missione', lo si abbandona. In seguito i contratti cessarono: era divenuta troppo 'vecchia' (aveva trent'anni). Se si rivolgeva direttamente verso enti e aziende, senza usare il tramite delle agenzie di somministrazione del lavoro, ecco che le veniva detto: "Lei ha cambiato molte aziende..." E il colloquio subiva una sospensione, per la quale lei, Cécile, non comprendeva la ragione per cui il proprio curriculum, sul quale erano riportate le missioni tramite le agenzie, non fosse sufficiente a rispondere alla questione posta. Ella infatti aveva segnato i rinnovi contrattuali, per cui, se fosse stata inaffidabile, non le sarebbero stati proposti.

 Tentò di terminare il percorso di istruzione superiore tramite un corso serale rivolto agli adulti lavoratori, con il desiderio di rivolgersi poi verso l'università, così da trarre quelle gratificazioni che le erano mancate sino ad allora e verso le quali presentava attitudini genuine, naturali (era incline allo studio), ma una professoressa usò un atteggiamento svilente verso di lei: la mortificò pubblicamente. Si trattava di un metodo usato dalla professoressa, la quale era avvezza a risolvere le questioni di contrasto con i propri studenti gridando, battendo le mani sulla cattedra, svilendo la persona dello studente. In questo caso, il contrasto consistette in una domanda posta da Cécile verso la professoressa: "Prima della pausa pasquale avanzammo, come classe, la richiesta che le prove fossero distribuite, in modo uniforme, lungo il quadrimestre. Lei, come i suoi colleghi, accettò la proposta. Ora, invece, ha organizzato due prove ravvicinate nel tempo. Le chiederei il motivo di questa organizzazione." La professoressa non risposte a questa domanda, forse percependola come provocatoria, e si esibì gridando che Cécile non si impegnava (le schede valutative dimostravano il contrario), che era sempre assente (il registro delle presenze dimostrava il contrario), la scimmiottò dicendo: "Se vuoi fare la professoressa vai all'università" e una serie di altre illazioni e atteggiamenti poco ortodossi.

All'epoca, per via dello stato di disagio lavorativo in cui versava, i servizi sociali diedero a Cécile una mansione da svolgere presso il proprio Comune di residenza - mansione retribuita duecento euro al mese; pertanto decise, per affrontare le prove, di impostarsi nel modo che segue: 'Svolgerò le prove, per le quali so che la valutazione sarà negativa. Siccome vi è l'opportunità di presentarsi oralmente, così da riparare, mi preparerò per l'orale: in questo modo potrò presenziare alle lezioni (non avrebbe infatti potuto essere presente alle lezioni sinché non avesse svolto le prove).'

Tale proposito naufragò. L'esibizione della professoressa le causò un trauma psichico, che si tradusse in un corollario di sintomatologie fisiche che si presentavano appena Cécile si pensava in aula, ad assistere alle lezioni tenute dalla professoressa: vertigini, nausea, confusione mentale, tremori, sudorazione fredda, salute cagionevole. Tali effetti determinarono la base primaria per l'insorgenza di una patologia autoimmune che si sarebbe palesata di lì a pochi anni in Cécile. La professoressa era quindi riuscita, tramite la violenza psicologica, a corrompere irrimediabilmente la salute fisica della donna, così come potrebbe avvenire quando si percuote fisicamente una persona.

Cécile riviveva, ogni giorno, il doloroso accadimento. Per via di tale violenza, rigettava ogni volta che doveva raggiungere l'edificio in cui si tenevano i corsi. Per salvaguardia della propria salute, Cécile smise di frequentare le lezioni della professoressa: ciò le costò un otto in condotta, non prima, però, di denunciare l'accaduto al referente dei corsi, il quale mostrò incredulità verso la sua denuncia: lasciò cadere la questione.

Si sarebbe detto che il referente si pose a protezione della professoressa, svilendo sia la studentessa, sia l'istituzione scolastica, la quale dovrebbe garantire un ambiente protetto dal disagio, sia agli operatori della scuola, sia agli studenti.

Tale fatto fece sì che in Cécile si ruppe qualcosa, che alcuni definirebbero "fiducia".

 Terminò l'anno, evitando di presenziare alle lezioni della professoressa, poi si ritirò dal corso. L'anno successivo sarebbe stato l'ultimo. In tale corso aveva conseguito valutazioni più che buone: media tra l'otto e il nove (già quand'era ragazza le sue valutazioni erano buone).

L'atteggiamento rude della professoressa, assolutamente non formata per rapportarsi con una classe di adulti - adulti in difficoltà, carichi di fatiche e sofferenze, per cui il corso prometteva 'idealmente' una fonte di riscatto, e l'atteggiamento tenuto dal referente dei corsi, scisse interiormente Cécile: ella si separò definitivamente dal complesso statale, verso il quale desiderava rivolgere le proprie forze, il proprio ingegno, le proprie abilità.

 

***

 

 Cécile non aveva un'abitazione di proprietà né ne avrebbe mai avuta una in eredità. Si scaldò con la legna recuperata da qualche bancale; mangiò una volta al giorno, talvolta non mangiava; si lavava all'acqua di una fontanella pubblica. Non possedeva un televisore. Svolgeva giornalmente esercizi di algebra (seppur soltanto sino agli integrali). Conosceva la storia della letteratura e della filosofia. Aveva una memoria straordinaria, allenata nel tempo con dedizione. Studiava in piena solitudine, senza l'ausilio di alcun corso: ciò era indice di una determinazione straordinaria e di un'organizzazione interiore estremamente ordinata. Ella studiava numerose discipline: medicina, fisica, biologia, arte, filosofia... Tali discipline rappresentavano alcuni dei cibi culturali cui si alimentava giornalmente. La sua cultura era eccezionale, tuttavia l'istruzione multidisciplinare che si era impartita mai venne registrata da quell'apparato, spesso falsante, che si chiama "burocrazia" anzi, ella risultava, sulle carte, quale "persona poco istruita". L'istituzione burocratica risulta infatti cieca di fronte a persone prive di titoli, le quali, nei casi come quello di Cécile, presentano un'istruzione di elevatissimo grado. Perciò veniva trattata, dagli apparati burocratici, quale persona incapace di intendere. In un ambiente culturale dove l'individuo viene considerato dignitoso attraverso le prove di fedeltà che offre al modello sociale in cui vive, le personalità quali sono quelle rappresentate da Cécile vengono intese alla stregua di una 'espressione enigmatica' talvolta insolubile, e si imputa, a tali caratteri, una responsabilità individuale per le dolorose vicende cui essi si trovano a vivere. Talvolta si perseguitano tali caratteri. Un aspetto della persecuzione consiste nell'iterare una disattenzione senza posa verso le loro difficoltà esistenziali. Tale organizzazione sociale si chiamerebbe "impero", altre figure la chiamerebbero "provincialismo". Ella, Cécile, per causa della propria originalità di spirito, che in altra civiltà avrebbe rappresentato un tesoro per la collettività, veniva statalmente svilita. Nonostante ciò, mai ostentava la propria istruzione: questo comportamento era sinonimo di una formidabile saldezza psichica, ossia: ella esprimeva giornalmente una rara forza interiore.


Realizzava sia opere materiali, sia opere spirituali eppure enti, istituzioni, aziende, gruppi mai si curarono delle sue espressioni. Lei non era inserita in alcun ambiente. Le sue opere sarebbero state notate in un tempo maggiormente progredito, quando la civiltà umana si sarebbe spogliata degli interessi mondani cui molte genti di quel tempo, forse suggestionate da nodi interiori relativi alla solitudine ed alla morte, sembravano essere animate. Nella sua casa furono trovati numerosi testi accademici ed altrettanti testi di studio, il cui contenuto era fitto di conoscenze ancora non acquisite dalle accademie del nostro tempo.

 Visse una relazione con un medico di provincia (lei aveva avuto soltanto una relazione prima di questa, che durò quasi tre anni). Il medico la paragonò, già nel primo mese della relazione, ad una propria ex: cattivo gusto che indicava come egli non stesse, con il sentimento, insieme a lei.

Di relazioni ne ebbe, il medico, a decine: era in grado di concedersi ad una sconosciuta anche dopo pochi minuti di 'conoscenza'. Egli scordò il giorno del compleanno di lei, Cécile, e si trascurava in sua presenza: le dava, come segno di sé stesso, la propria indolenza; le dava la sporcizia del proprio corpo, che lavava malamente o non lavava per nulla; la nutriva tramite racconti venefici, densi di strazi, privi di umorismo, caratterizzati da angherie subite, violenze (presunte) ricevute, svilimenti sofferti. Lei ascoltava e provava a farlo ridere.
Mai il medico le presentò i propri genitori, che erano vivi entrambi, mentre lei, Cécile, gli presentò il proprio unico genitore, oltre a presentargli il proprio fratello. L'atteggiamento evitante del medico denunciava la volontà di usare Cécile per alimentare un proprio schema che egli sembrava perseguire.
Tra il corollario di perdizioni relazionali che incarnava, quale elemento essenziale della relazione, il medico richiese a Cécile di svolgersi verso di lui come una madre e non come una compagna; e, tuttavia, o forse proprio per questa ragione, palesava il proprio disprezzo verso la figura femminile: ne voleva la caduta, un po' come una donna che usi un uomo al solo fine di procreare e creare una 'famiglia': essa instilla la caduta dell'uomo trascurandone la sostanza come individuo.
Per via di questa ragione, il medico mostrava un'impostazione ideologica di carattere divisivo.

 Cécile, per via degli accadimenti vissuti già dalla più tenera età, risultava facilmente manipolabile. Era assolutamente sprovveduta in ambito di relazioni amorose. Per via della relazione con il medico - relazione dal criterio certamente chiuso - e per via del dolore subito l'otto maggio 2017, sera in cui Cécile incorse nell'esibizione della professoressa A.F., iniziò ad ammalarsi. Il medico non seppe riconoscere i segni della patologia insorgente, o forse riconobbe il malessere fisico di lei senza riconoscere la fisionomia del male (egli era particolarmente inetto nel proprio ambito), ma minimizzò quel che Cécile stava vivendo: non poteva tollerare che lei fosse interessata da una dimensione: la malattia, cui egli non aveva accesso. Allo stesso modo, quando Cécile cantava o suonava uno strumento (ella suonava il violino, che apprese a suonare per conto proprio), il medico tendeva a rendersi terzo alle sue espressioni: non le considerava. Egli non cantava né suonava, perciò si rese indifferente a queste espressioni di Cécile. Egli non tollerava che lei si svolgesse in attività cui egli si sentiva minore, perciò le forniva indifferenza; e, se lei si svolgeva in attività cui egli poteva in qualche modo avere accesso, pur non avendone alcuna padronanza, come fu la letteratura (Cécile conosceva interi canti della Commedia a memoria, così come conosceva decine, forse centinaia di poesie a memoria; inoltre, la sua conoscenza approfondita della letteratura, specialmente occidentale, le permetteva di svolgere nessi filologici tra le opere letterarie, influenze e genesi storiche delle stesse: di ogni autore cui si rivolgeva ne lesse e studiò l'opera omnia), se lei si svolgeva in queste attività il medico la riduceva secondo una prassi puerile: leggeva le sinossi o le recensioni delle opere cui lei si interessava e, poi, senza considerare la florida articolazione di conoscenze incarnate da lei stessa, o forse proprio per ridurne l'effettiva portata, dibatteva con lei tentando di incalzarla secondo il criterio di chi, non sapendo nulla di una disciplina, formula questioni risibili, se non frivole, per produrre delle critiche che critiche non sono, bensì tristi esibizioni di un animo orientato a provocare una reazione al ribasso, che degradi la persona sapiente sino a godere della sua difficoltà e della sua spossatezza nel contrastare ciò che è senza consistenza né sostanza che sia ragionevole o sapienziale.

 Quando ella si raccolse in sé stessa siccome stava soffrendo i dolorosi sintomi della patologia in insorgenza, egli pretese che lei lo amasse come quando ella era in salute. La patologia l'avrebbe minata per l'intera vita, tra dolori continui, a rotazione, su diverse zone del corpo; obbligo ad una artificiosa regolarità, soprattutto nei pasti; ricalibrazione del cosiddetto 'stile di vita' (evitare le emozioni forti, divieto legale a svolgere determinate attività); riduzione della longevità; certa corruzione e prematura degradazione di diversi organi interni; rischio aumentato di ictus, ischemie, aneurismi; esposizione alle infezioni, rischio aumentato di necrosi e cancrena in caso di ferite, specialmente agli arti inferiori, interessati dalla formazione di edema; cali cognitivi, cali mnemonici; difficoltà a concentrarsi; perdita della forma fisica (il suo corpo era, prima della malattia, naturalmente forte e resistente, ed era armonioso nelle forme: sembrava rispettare le proporzioni vitruviane).

 
I sintomi, mentre la patologia stava insorgendo, si acuirono nell'ultimo anno della relazione con il medico: smagrì, la vista le si offuscò, le reni dolsero oltremodo, sommovimenti sotto-addominali, all'altezza del fegato, le diedero nausea, vomito, dolore fisico: segni che ella confidò venissero ravvisati dal proprio compagno, il medico. Nulla. Il medico non si accorse di nulla. Un giorno Cécile perdette coscienza: rischiò di scivolare verso il coma e, poi, verso la morte; ma venne salvata da una donna, la quale si eclissò così come comparve in quell'istante della sua vita.

 Durante i numerosi giorni di ricovero Cécile rifletté: decise di sciogliere la relazione con il medico.

 Visse sola per i successivi anni, senza mai più avviare una relazione né mai intrattenersi con alcuno, seppur da molti uomini fosse stata avvicinata. Due soli uomini aveva conosciuto nella propria vita, con due soli uomini aveva fatto l'amore: il primo lo conobbe all'età di trentadue anni; il secondo (il medico), lo conobbe a trentasei anni. Non desiderò relazionarsi amorosamente con altri uomini.

Diceva: "In amore ci si relaziona soltanto se si è innamorati. Mai relazionarsi per sfogo. Mai relazionarsi se il proprio cuore è in travaglio. Mai relazionarsi se non si è in grado di vivere da sole. Io mi innamorai tre volte: una quand'ero bambina, una quand'ero adolescente, una quand'ero giovane donna. Non godetti di corrispondenza in alcuna delle tre occasioni, dunque pensai: 'L'amore non è per me. Mi concederò solo se vi sarà una promessa di eternità.'" Così fece.
All'età di trentadue anni si aprì: la prima relazione fu lieta, ma il compagno aveva troppi anni più di lei perciò decisero insieme di lasciarsi, pur mantenendo un rapporto di cordiale amicizia; la seconda relazione fu drammatica: il medico, che la usò non senza averla degradata secondo la prassi di coloro che, proprio perché non hanno qualità notevoli, nutrono un'altissima concezione di sé - ed intanto si rendono tanto più forti quanto più vedono indebolirsi chi sta loro accanto. Questo medico si scoprì poi essere affetto da psicopatologie di non trascurabile entità, dovute forse a tare famigliari (un suo genitore era in cura psichiatrica da tempo), e si scoprì aver rovinato la salute e la vita di altre donne: lasciò, nella sua esistenza, una scia di sofferenze la cui indagine si perde nel tempo. Segno del suo procedere secondo dubbia coscienza fu il tagliare netto e bloccare, al termine di ogni relazione, la persona con la quale si relazionò, per passare alla successiva. Tra una relazione e l'altra non trascorrevano mai più di poche settimane. Il blocco rappresenta una condanna alla sospensione per coloro che lo ricevono e può condurre anche alla morte, non soltanto psichica ed emotiva, di un individuo, specialmente quando il blocco non  risulta giustificato da attive evidenze di persecuzione; ma, di più, si chiarisce la volontà di controllo da parte di chi lo agisce, il blocco, che si tradurrebbe in una ragione scarsamente solida in questo esecutore, orientata a creare, per sé stesso, un'illusoria dimensione di fermezza e di stabilità interiore tramite irriflessivi, perlopiù primitivi e impositivi gesti esteriori.

 La personalità di Cécile: era leale, educata, mite, amava il riserbo, era seria e spiritosa allo stesso tempo. Talvolta era umoristica. Talvolta era un po' pedante. Talvolta speculava nelle astrazioni sino alle vertigini. Talvolta danzava senza farsi vedere da alcuno. Talvolta faceva pensieri che non si possono raccontare. Talvolta si... Eppure chi la conobbe ebbe di lei l'impressione di una persona chiara. Ella era genuina e presente, specialmente era affidabile. Amava la bellezza quanto amava lo spirito critico: si adoperava per lasciare al mondo opere armoniose, anche vivaci, in genere cariche di significati legati alla storia dell'arte, a volte i significati si legavano alla qabbālāh numerica e, sovente, alchemica, seppur la cultura maggiormente diffusa fosse orientata verso l'esaltazione dell'estemporaneità, verso l'ostentazione delle espressioni di carattere utilitarista o, più banalmente, materialista, che mutano a seconda delle tendenze.

Era ingegnosa: formulava scenari che potessero distendere e sbloccare animi abbattuti o irretiti. La sua fu una personalità considerata troppo sana (e la salute si dovrebbe ormai iniziare a dire che esiste, almeno dirlo al medico con cui stette...), per questa ragione venne trattata secondo la diffidenza che si usa verso quelle persone che, pur vivendo in condizioni materiali caratterizzate da una chiara privazione, mantengono una dignità, una presenza di spirito e una caratura intellettiva, oltre che una figura esteriore, che è propria di altri ambienti, ben più solidi sotto il profilo degli agi e dei benefici. Le genti temono coloro che alterano, tramite le proprie peculiarità, gli schemi acquisiti; talvolta giungono anche a disprezzare questi particolari individui: non hanno mensole su cui riporli. Alle genti piace l'ordine. Perciò preferiscono mantenere i propri piani, intanto il fiore - ossia, l'individuo particolare - subisce l'emarginazione, che corrisponde ad una lunga agonia, che si potrebbe anche chiamare 'sevizia di prassi', sinché non accadrà qualcosa che farà dire alle genti: "Visto? Avevamo ragione a non creare un nuovo ripiano per questo fiore: non sarebbe durato!". Alle genti piace l'economia. Cécile visse in solitudine.
 
La genuinità, il candore, la purezza d'animo sono considerate, in un ambiente che presenta il profilo di una Sodoma, quali elementi disturbanti, finanche - secondo un termine vago ma non per questo meno diretto - malati.
 
La Sodoma in cui visse Cécile prima la usò, poi la mise in una regione in cui venne annullata nelle sue espressioni più genuine. Cécile ricevette indifferenza, che è il perfetto contrario dell'amore. La ricevette durante tutti gli anni trascorsi in solitudine. Si ritirò dal mondo senza che alcuna entità avesse conosciuto l'effettivo passo della sua personalità, né della sua esistenza. La sua innata intelligenza logica, le sue facoltà poliedriche, la sua naturale attitudine allo studio avrebbero potuto costituire un elemento di progresso per certi ambiti, sia tecnici, sia umanistici, espressi dal mondo umano: chissà quali avanzamenti avrebbe potuto fornire se avesse vissuto ambienti in linea con la sua straordinaria sostanza intellettiva. Ma attraversò la vita del mondo senza godere di alcuna gratificazione alla propria indole.

Cécile si suicidò.

 

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