Enigma - i cuori puri, ossia: i cuori soli

 
 La spingeva sulla bicicletta per le vie di Avignone, e lei rideva, e si accendeva la luce nell'ombra. Passeggiava insieme a lei per le strade di una città innominabile: la luce si accendeva, l'ombra si schiariva.

 L'ombra... Quell'ombra si estese, la luce di lei si oscurò. No, non per volontà di lei, no: l'ombra, che si diffuse in ogni ganglio di lui, che in lui albergava, fu grave tanto da coprire la luce di lei. Cadde il buio: si sciolsero.

 Separati, lui ricordava le vie di Avignone, si aggrappava al sorriso di lei che ormai era una scintilla nell'ombra del destino di lui, che era di sparire come sparisce un granello di sabbia sulla duna di un deserto senza fine.

 Lei ricorderà? Lui ricorda, e lui ama: disse una bugia. Lui l'ama, sì. Ma tacerà. E così tacerà chi leggerà queste righe, che presagiscono ad un segreto che si spiega soltanto agli occhi di chi rivive in esso: gli occhi di lei, che hanno la forma dell'enigma che vive in lui.


 Qui è il caso di una relazione forse consueta, eppure inintelligibile. Tra le storie di ogni tempo, ho aperto una breccia su quel che non si può spiegare: l'enigma del rapporto tra un uomo e una donna. Mi viene in mente Il Dilemma, canzone di Giorgio Gaber, scritta con Sandro Luporini, seppur in quel caso vi fosse il racconto di un tradimento, e non è questo il caso.

Serve l'abilità del vero artista per rappresentare esteticamente la relazione tra un uomo e una donna, casomai si avesse l'audacia di trasporla nella forma dell'arte.

Il racconto proseguirebbe idealmente in questo modo:

 

...chissà se lei saprà del tacere di lui, chissà se lui saprà della solitudine di lei. Chissà se si incontreranno ancora, se riprenderà a vivere quel che accese lui, quel che accese lei. Ed è facile immaginare come lui stia attendendo lei e come lei stia attendendo lui. Nel frattempo la vita si invola...

 

 Mi chiedo quale soluzione vi sia di fronte ad un'entità difficilmente inquadrabile, dai confini sfumati, che sembrerebbe vivere di una vita propria e che tuttavia parrebbe presentare una tale quantità di fattori, perlomeno nella sua genesi, che la sola osservazione si scontrerebbe con il limite della non indagabilità, se non per via dialettica, delle cause prime. Tale entità governa ciascuna di queste figure, ma pure ne determina il carattere.

I flutti di un mare - vorrei dire oceano - in tempesta scuotono queste creature: esse vivono in un rapporto vitale con tali onde. L'entità è l'oceano. Chiedere loro di cambiare il proprio assetto, cioè di modificare la propria rotta, significherebbe chiedere loro di fissare l'abisso dell'oceano che le anima, per regolarne la potenza. Quale sguardo leverebbero poi sul mondo, con quali occhi risalirebbero da tali abissi? Quale creatura viva potrebbe mai rivolgere l'occhio verso il cuore della propria vita senza tornarne muta, silente, verso gli altri?, ossia: non più disposta al dialogo con le creature vive, siccome non potrebbe più parlare con i soli fenomeni, le sole manifestazioni, i soli sintomi - e la vita sarebbe il fenomeno, la manifestazione, il sintomo, e non la causa cui essa ricercherebbe effettivamente il dialogo.

Riabiliterei quindi la domanda che già venne posta dal filosofo Nikolaj Gavrilovič Černyševskij, nel 1863, quando venne detenuto nella fortezza di Pietro e Paolo, a san Pietroburgo.

 
Černyševskij pose la questione in un'articolazione che qui non è trattabile, cioè indagò i rapporti tra i due generi sessuali sotto il profilo sociale, eppure, la risposta ad una simile domanda, tuttora latita: Che fare?

 

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