Delicatezza


 Ed Ellise se ne andava. La parte più genuina, più allegra, più gioiosa della sua personalità cedeva la scena ad un'inusuale ombrosità, ad un'assenza di quelle espressioni creative, acute, che avevano tratteggiato, sino ad allora, gli istanti di chi si era trovato a spendere il proprio tempo accanto a lei.

 Pensare alla sua figura, riandare alle trovate del suo ingegno, ripercorrere le immagini che ella creava con le parole, così intrise di riflessiva gaiezza, significava, per un animo aperto, ben disposto, uno stacco dalle cose cupe e usuranti – esattamente quelle cose che annullano le forze di un individuo, che ne sciupano il vigore interiore e ne logorano l'aspetto esteriore, sino a far, di un volto, una maschera segnata dalle rinunce.

Ellise moriva secondo le espressioni proprie di una crudele consuetudine. Si trattava di un atteggiamento ripetuto quello in cui ella, nella propria genuinità, si scontrava.
Se osava dir qualcosa su un accidente in cui era occorsa, magari una slogatura, magari un'infiammazione o magari addirittura una malattia, ecco che riceveva queste risposte: “C'è chi riesce a condurre una vita normale nonostante abbia un tumore”; “C'è chi ha vissuto con il corpo devastato dalle privazioni”; “Ho saputo di un atleta senza gambe che gareggia, corre e salta gli ostacoli. Di recente ha ricevuto anche un premio importante...” 

Se, però, a quelle stesse persone fosse accaduto lo stesso accidente, ecco che mai avrebbero tollerato che si fosse usato un simile atteggiamento verso di loro; ed avrebbero risposto con protervia, forse carica di rabbia e di sdegno: “Ma che ne sai tu!”. E avrebbero ripreso a diminuire, trascurandole, le difficoltà altrui. A questo riguardo, si potrebbe forse usare quella parola che tanto fa chiudere gli occhi: ipocrisia. 
Vi era anche cinismo e indifferenza, ma questo non lo diremo.

 Il doloroso mondo in cui Ellise viveva senza che vi fosse, nel suo animo, intenzione di affrontarlo con la stessa moneta, cioè con lo stesso linguaggio, stava esaurendola sempre più.

Ella non era armata, non aveva difese né ne desiderava. E pensava: 'Se ci si difende ad ogni passo, se si prolunga l'esercizio della difesa e si indossa, senza sosta, un'armatura, l'idea di rappacificazione rimarrà segregata dentro quell'armatura: mai si diffonderanno nel mondo, né avranno modo di progredire, il senso del dialogo e della concordia. Quel che si propagherà sarà soltanto uno stridio di lame che provoca la sordità, dove mai si odono le miti voci dalle quali si origina la vicinanza e il senso di unione che affiora quando si sceglie la via del riserbo e dell'ascolto.' Pensava così, senza curarsi delle difficoltà che ella stessa stava vivendo, senza curarsi dell'altrui morte che incedeva nel suo animo.

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