Le Tre Gemelle
Su una
grande isola di un piccolo mare, in una famiglia che da sempre era –
e per sempre avrebbe voluto restare – contadina, nacquero tre
gemelline, tutte e tre molto particolari. La prima teneva gli occhi
sempre aperti e non dormiva mai; la seconda aveva sempre gli occhi
chiusi e tutto quel che doveva fare lo faceva nel sonno; la terza
teneva, di giorno, l’occhio destro sempre aperto mentre l’altro
restava sempre chiuso. Di notte apriva il sinistro e sognava con il
destro.
Le tre
sorelle divennero grandi e, stufe d’essere sempre osservate da
tutti, decisero partire per raggiungere ognuna la regione del mondo
che più le piaceva. Ognuna si creò la propria strada: la prima
divenne un buon giudice, la seconda si incaricò di dare un letto a
chi non l’aveva, la terza iniziò a scrivere storie fantastiche; ma
a tutte e tre, nonostante fossero state pienamente accettate dal
luogo in cui vivevano, non si presentò mai un principe, e tutte e
tre si sentivano sole.
Per via di
un forte legame empatico, quando la seconda sorella era al culmine
della tristezza, alla prima lacrimavano gli occhi ed alla terza,
anziché i soliti sogni, nell’occhio chiuso nascevano molti
incubi. Le tre sorelle decisero allora di incontrarsi e di cercare un
medico esperto in empatia. Trovatolo, si recarono da lui e, quando lo
videro, ognuna di loro pensò d’aver scoperto il proprio principe.
Il medico non fu da meno e si innamorò di tutte e tre, ma pensò che
esisteva un problema, sia di cuore che di empatia: lui aveva un solo
cuore, mentre i cuori da amare erano tre. Come avrebbe potuto
dividere il proprio cuore senza rischiare un infarto?
Alla ricerca
di una soluzione, il medico prese le cartelle delle tre gemelle e si
rinchiuse in un laboratorio stretto e lungo lungo, che aveva una
piccola porticina di ingresso.
Trascorsero
giorni e giorni. Ciascuna delle tre gemelle coltivò dentro di sé
una propria fantasia su quel principe, e la fantasia divenne talmente
vivida che nessuna delle tre riuscì più a contenersi. Quando il
medico le chiamò, felice di aver trovato una cura, le tre donne
corsero a perdifiato verso il laboratorio, ma nella foga di rivedere
ognuna il proprio amore, si scontrarono sulla piccola porticina di
ingresso. Ci fu un grande patatrac ed un enorme patapumfete. Il
principe vide poco e capì ancor meno. Quasi soffocato dal fumo
dell'esplosione, sentì che qualcosa gli era rotolato contro i piedi:
si chinò e, con meraviglia, si accorse che erano sei occhi. Allora
corse verso la porta; correndo urtò altri “qualcosa” disseminati
sul pavimento, ma non se ne curò e continuò a correre, ad agitare
le braccia per mandare via il fumo che profumava stranamente di mare.
Quando finalmente giunse sulla porta e quando finalmente il fumo fu
sparito, vide che non c’era nulla. Guardò il suo laboratorio e
capì che i “qualcosa” urtati poco prima erano arti, braccia,
seni.
Triste, il
medico raccolse i pezzi capendo cos’era successo e pensò che forse
c’era ancora rimedio. Li posò sul tavolo e provò a rimontare i
suoi amori, ma proprio quando iniziò ad incollare le varie parti di
quei corpi ridotti a cocci, comprese che qualcosa non tornava in quei
cocci. Mentre era intento in questo lavorio di raffazzonamento, la
porta del laboratorio volò via improvvisamente, il laboratorio
scomparve ed una strana nebbia lo avvolse. Il principe svenne.
Non si sa
per quanto il buon medico restò svenuto, e non si sa nemmeno cosa
poteva essere capitato, ma, quando si svegliò, si ritrovò in un
luogo diverso dal suo piccolo laboratorio. Si guardò intorno, l’aria
era buona, lui era su una spiaggia ed il tempo era bello. Si alzò in
piedi e, appena fu diritto, qualcuno alle sue spalle gli coprì gli
occhi. Lui si voltò e vide una delle tre gemelle, completamente
guarita, che gli sorrideva tenendo sottobraccio una cesta piena di
pomodori.
“Mio buon
principe, sono io le mie sorelle. A lungo ho vagato tra le regioni
del mondo, per tanto tempo sono stata attratta dai canti di sirena
che il mondo mi proponeva ed a lungo mi sono sentita divisa. Se
piangevo con un occhio, con l'altro ridevo; se un mio occhio sognava,
l'altro nominava le cose così che non potessi sognare mai; e se il
mio occhio destro vedeva una cosa, il mio occhio sinistro non la
guardava.”
“Mi
ricordo di quel che mi stai raccontando,” disse il medico, “mi
ricordo dei tuoi occhi, mia dolce Ellise, e mi ricordo che cercavo di
aiutarti. Poi non ricordo più nulla.”
“Mi
parlasti di una porta molto stretta, mio dolce principe e mio medico,
mi dicesti che, accanto a me, ti sentivi come se ti trovassi in fondo
ad un corridoio molto lungo e che io restavo al di là di una porta
molto stretta, tanto distante da te. Poi qualcosa avvenne. Dal
momento che eri distante da me, dovetti concentrarmi per riuscire a
vederti: i canti di sirena si ruppero e rotolarono ai tuoi piedi, ne
rimasero tanti frammenti che tu iniziasti a raccogliere per
ricomporli, ma ciascuno di quei frammenti era venefico e ti dava le
vertigini ogni volta che lo toccavi. Cominciasti a perdere la
ragione, io temetti di perderti.”
“Oltrepassasti
allora la porta stretta?”
“Sì. Ed
allora mi sono ricongiunta a te e mi sono ricongiunta a ciò che
preesisteva agli scenari, alle promesse, alle aspirazioni portate dai
canti del mondo. E mi sono ricongiunta a ciò che continuerà ad
esistere quando questi canti si esauriranno.”
“Ma noi
esisteremo ancora?”
“Noi
esisteremo sempre perché da sempre esistiamo.”
“Ed il
mondo?”
“Il mondo
cambierà ancora e ancora. Si inventerà nuove aspirazioni che poi si
perderanno; esaltato dalle proprie idee, scanserà la memoria di sé
e ripeterà gli errori che già fece in passato; si farà superbo e
tracotante e sarà governato dall'irrequietezza; poi crollerà per
rifarsi ancora e ancora.”
“Sino a
quando durerà questo mondo?”
“Il mondo
è privo di durata perché è fisso come una cartolina che non può
uscire dai suoi margini. Fosti tu a mostrarmi questo segreto, ricordi
mio artista dell'uomo, mio medico e mio principe?”
“Forse
ricordo qualcosa, ma ora è un altro momento e quella parte di me
l'ho scordata.”
“Ti
comprendo. Ogni creatura umana è l'insieme di più universi ed il
mondo vero permette ad ogni creatura di esprimere ciascuna delle
dimensioni che porta in sé, a differenza di quel mondo popolato dai
canti di sirena, dove ad ogni creatura viene concessa una sola
dimensione da esprimere durante la maggior parte della sua vita. Per
questa ragione regna l'infelicità e per questa ragione si perpetua
l'ingiustizia tra coloro che ancora sono sedotti dalle promesse di
ciò che durata non ha.”
“Ora dove
andremo?”
“Ovunque.”