Morgana

 
 La Morgana dei versi che qui riporto indica tanto la figura legata alla mitologia celtica quanto l'effetto di illusione ottica (miraggio) che si sviluppa sopra la linea d'orizzonte, quando fronti termici di differente temperatura (suolo freddo e aria calda ad esempio) si incontrano dando adito ad un invisibile strato o condotto attraverso il quale la luce rifrange. E' allora che appaiono alla vista intere città sospese a mezz'aria, quasi si aprisse un varco su un'ipotetica dimensione, dove parrebbero intravedersi le costruzioni, gli edifici, la presenza di una civiltà aliena al panorama consueto.

 Nel 2004, quando scrissi questi versi - allora ero un ventitreenne - pensai di far incontrare l'idea del miraggio con il racconto del mito di Morgana: entrambi incantano, sbalestrano, evocano sogni e deludono il cuore. Dunque mi chiedo: chissà se a coloro che sono 'a dentro a le cose di cotanta materia sanza tensione', il mio brevissimo componimento - brevissimo sicché rappresenta il carattere del miraggio, che si avvia con forza e, dolorosamente, fatalmente scade nell'arco di pochissime battute - chissà se il breve componimento esprimerà un'intuizione che già essi, i perlustratori delle cose invisibili, formularono in sé stessi.

 
 
 Le poche, brevi parole di questi versi evocano, almeno in me stesso, un'ulteriore finestrella che si dischiude su ciò che sembrerebbe alla stregua di un incessante divenire, ossia su ciò che ha ancora da farsi e, quindi, da risolversi. A questo proposito mi viene in mente un'interpretazione particolare.
 
L'Algarotti, studioso e scrittore veneziano vissuto nel XVIII° secolo, diede una splendida definizione della Pietroburgo voluta da Pietro I il Grande, realizzata tramite l'ausilio di architetti europei - definizione replicata poi da Puškin ne Il Cavaliere di Bronzo. L'espressione dell'Algarotti inquadrò Pietroburgo in un modo formidabile nella sua accezione simbolica e nel suo significato storico, e fu questa: "Una finestra aperta sull'Europa".
 Tra le parole di quel ragazzo o giovane uomo che ero al tempo - seppur il mio animo si avvicini, col trascorrere degli anni, sempre più verso sé stesso, giusto per declinare le parole di Gaber* al mio sentimento - tra le mie parole di allora forse vi era già espressa la presenza di quel che tuttora ha da compiersi e che riguarda me come riguarda molte altre persone... Mi riferisco all'Europa, all'idea di Europa. Già allora vivevo tra le fisse cangianze di questo organismo dalle incalcolabili finestre aperte su sé stesse che è, appunto, l'Europa e mi chiedo se tra questi brevissimi versi non vi fosse già la traccia della sua presenza. Questa è dunque la mia interpretazione sui brevi versi che propongo.


Pudore e tentazione,
punizione e lascivia:

sposa di rotte stanche,
soprammobile di sterco...

un'ombra di desiderio,
segreto di vita.


 
*Reminiscenza de: "Il mio destino è andare sempre più verso me stesso e non trovar nessuno", parole cantate da Giorgio Gaber, scritte insieme a Sandro Luporini, espresse nella Canzone dell'Appartenenza (1994), le quali fanno riferimento ad un concetto già espresso nell'antichità e per il quale, con mio rammarico, non ricordo né il testo né l'autore... Urge l'aiuto di chi ha maggior presenza rispetto a quella che ora sono in grado di offrire.

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