Anis - Visioni

 Un foglio leggero, quasi diafano, galleggiò a mezz'aria tra i vetri della casa-ruote. Simile al polline, danzò tra i refoli d'aria calda che spiravano dai finestrini, mentre la luce del sole, filtrando attraverso il parabrezza, illuminava a metà i visi di Anis e Cécile, sedute nell'abitacolo. La via mediterranea correva, correva. Il Sole era al crepuscolo.

Si alternavano spaiate abitazioni dai muri screziati ai lati della casa-ruote: restavano in bilico sui crostoni rocciosi affacciati sul mare. I tetti sembravano allargarsi nel gioco di luci del crepuscolo, mentre i muri nel verso opposto sparivano nell'ombra incalzante.

Cécile colse il foglietto con gli occhi. Sonnecchiava, eppure vide quel che vi era scritto e lo lesse, senza afferrarlo con le dita:

 "E' viva, dunque è bella. E' una creatura libera dalle tracce dei drammi personali: la sua natura alberga tra i cieli altissimi di uno spirito che abbia sciolto il mistero della morte. Ella ora attraversa la vita a trentamila fiati all'ora, esprime in sé l'estro acceso, carico di forze deflagranti, come fu l'estro antico e moderno di coloro i quali non si curarono di questo mondo poiché immaginarono che il loro regno fosse altrove. Ciò causò scandalo.

E' dunque mercé di quel Dio senza nome, "tale che la miseria umana non la tange, né la fiamma di alcun incendio la assale"*: non mente, non ruba, non uccide, poiché non nutre interesse a guadagnare le protezioni care a chi, nella vita, differisca giornalmente il pensiero verso la morte, o lo neghi, volgendosi interamente verso l'affermazione di sé in ciò che è caduco e volatile. 'Ed è qui,' lei pensa, 'che si incarna l'alterigia di chi crede che l'ultimo fiato non giunga mai e di chi viva nella proiezione di sé, dove il risvolto del proprio esaurirsi si svela nelle tracce impresse sul suo viso, tra le sue parole, sul suo corpo ormai interrotto.'
 
Ella si svolge terza ad ogni calcolo. Ogni suo passo è un'esplosione chiara, pur nel silenzio, tra tenerezza e ribellione. Tuttavia...
 
...tuttavia, già. Prova attrazione, talvolta, verso un essere umano: lo raggiunge, lo guarda e gli si dichiara senza imporsi con quell'esaltazione e quella protervia di chi sia smarrito in sé, ossia - ossia lei pensa: '...questi esprime in sé la carica prepotente ed esaltata di chi, privo di cardini in sé stesso, si senta esistere esclusivamente attraverso l'effetto provocato sull'altro. Povero, povero...'
 
Ella dunque si dichiara.


Il piacere suadente dell'agognare che si giunga a lei, che la si veda, le è terzo: sente di essere vista da ciò che vive oltre i clamori del giorno corrente: là, dove le forze che reggono interi universi si svolgono in sordina, oltre ciò che è visibile, com'è per le forze effettivamente potenti. Ella dice: "La vita effettiva si svolge là, in quel luogo raggiungibile con la facoltà di calcolo più complessa: l'intuizione." Ciò provoca scandalo.

Il suo essere irrefrenabile nasce dunque da una grazia che proviene da mondi interiori densi di un'articolazione misteriosa, indicibile dal linguaggio umano, vividi nel loro senso divino, che risulta visibile soltanto a chi sappia evitare di vestire il proprio vicino con un abito nato dai propri gangli interiori: le proiezioni, 'che sono un'espressione di affezione verso sé stessi', pensa lei.

Ella dunque rifugge chi si senta attratto da lei se lei gli dà ragione: questi ama esclusivamente sé stesso nell'eco di sé. "E questi non sa che le ragioni," dice lei, "sono formulazioni della psiche perché questa si puntelli nel proprio assetto, il quale muta a seconda delle evenienze che essa incontra: sono costruzioni satellitari, non centrali, di un individuo. Chi si identifichi nelle proprie ragioni manca il bersaglio di sé, è dunque semplice che sia governato da ciò che non attiene a sé stesso: è decentrato. Chi potrebbe amare ciò che viva altrove da sé?"

Ella sa, dell'essere umano che la ami, che questi risponderà con un suono critico e sordo quando lei gli darà ragione. Questi desidererà udire la voce di lei, individuata in sé stessa, non sé stesso: così danzeranno.

E' lieve ed elegante nel suo vivere tenace e esplosivo, privo di alcuna ostentazione. Accoglie senza timore i dinieghi al suo dichiararsi poiché è salda in sé stessa e sa che il diniego, il rifiuto, è un momento per avvicinarsi di un passo a sé. Né mai prova risentimento verso chi la rifiuti, poiché essa stessa rifiuta.

Mai usa la brevità d'animo di chi voglia stimolare il sentimento altrui quale nutrimento per sé, per il proprio potere, per cui di fronte al diniego questi ucciderà chi glielo mostrò.

Ella dice: "Colei che attenda e pretenda per prima la dichiarazione altrui, predilige vivere nell'illusione di sé: mai lascerà l'idea che ha formulato di sé stessa nell'evitare l'incontro ed il confronto. Ella vive nella propria tensione interiore, chiusa e stretta; né mai attiva, rifuggendo l'incontro, gli strumenti di conoscenza di sé, dove si giunge ad una nuova nascita, con una ricchezza prima impensata. Colei che abbia scelto di affidarsi prettamente all'idea di sé per mai conoscersi, attende senza posa che la si veda: nessuno ti vede se non ti scopri.

E ricorda: la piena conoscenza di sé è cosa impossibile per l'individuo umano poiché ci si conosce soltanto attraverso la reazione provata di fronte all'esperienza effettiva, sia essa tangibile od intangibile, e nessuno può fare l'esperienza d'ogni cosa, in ogni tempo, né esiste un'esperienza che sia identica ad un'altra. Perciò nessuno saprà mai com'è e cos'è nella sua interezza: tale è il tormento dell'uomo che si sia levato dalle regioni dell'irriflessione." 

Anis visse così ogni istante della propria esistenza, con la gioia interiore di chi vide il cuore delle cose, senza mai divenire alcuna di esse, mentre intorno profili e profili si spegnevano un po' alla volta, tra le delusioni sorte dalle loro illusioni: alcuni caddero, altri scolorirono, molti perdettero il senno, ed ella giunse integra all'appuntamento con la morte. Il suo animo era l'animo di chi si sia speso interamente nella vita, con la generosità propria di chi sa che più ci si apre e si va incontro alle cose più la vita si genera, dentro e fuori di sé."

 Un paese dal nome breve e aligero apparve all'improvviso nella forma ordinata di un cartello che stia ritto sul ciglio della strada, come un muto sorvegliante, tra le curve della via. Le abitazioni si avvicinarono sempre più: si attaccarono le une alle altre, mentre un refolo più forte soffiò nell'abitacolo: spinse il foglietto verso l'apertura di un finestrino, dove volò fuori dagli spazi chiari della casa-ruote. Ed altrove si disperse. Fu un pensiero: disarticolato, difficile da leggere, comprensibile soltanto a colei che lo fece.

Anis, Cécile, D. attraversarono le vie costiere con la soavità di chi abbia assecondato in ogni momento la propria coscienza. Avevano l'aria di chi sfogli una margherita mentre stia passeggiando tra i fuochi di un'apocalisse. Cécile aprì gli occhi.  


*Adattamento del passaggio dantesco (Divina Commedia - Inferno, canto II, §91-93): "Io son fatta da Dio, sua mercè, tale,/che la vostra miseria non mi tange,/nè fiamma d’esto incendio non m’assale."

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